Genny ‘a Carogna, giustizia è fatta.

 

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“Non servono altre regole, basta far rispettare quelle che già ci sono”.

Così si erano espressi i vertici del calcio italiano e a poche ore dalla coppa della vergogna ecco l’epilogo. La giustizia sportiva ha fatto il suo corso con gli strumenti a disposizione ma soprattutto con l’abnegazione di chi sa come far rispettare la legge quando lo desidera.

Ricostruiamo la vicenda. E’ cosa nota che oggi entrare in uno stadio equivale ad entrare in un aeroporto con la carnagione olivastra, la barba lunga e un gilet imbottito in pieno agosto mostrando un biglietto per gli Stati Uniti. Per acquistare un tagliando si deve mostrare un documento al barista il quale, in quel momento, ricopre il ruolo di pubblico ufficiale (non vi inganni il grembiule sporco di maionese). Dopo un attento esame del documento di identità e (soprattutto) delle 50 euro che a malincuore gli porgete, lui vi rilascia il “titolo”.  A questo punto si è autorizzati ad appropinquarsi allo stadio. Si superano i primi cancelli e si giunge ad un tornello elettronico che all’aeroporto di New York si sognano, si avvicina il tagliando fin quando il signore alle tue spalle di sussurra “Pe’ quell’attro verso!!” quindi si gira il biglietto e si passa tra le lame rotanti in acciaio entrando nell’impianto sportivo. Qui si viene perquisiti in base al livello di pericolosità del soggetto che segue questo attento schema:

A = Soggetto innocuo (L’80 % dei soggetti che entrano allo stadio sono ritenuti di tipo A cioè non meritevoli di una perquisizione)

B = Soggetto sospetto (Lo sono coloro che ridono, che fanno finta di essere impegnati eludendo il controllo, chi è al telefono, chi ha un accendino nuovo, chi ha una bella cintura in pelle)

C = Soggetto pericoloso (Per lo più donne, giovani, procaci. Queste vengono perquisite accuratamente per accertarsi che non si tratti di facinorosi capi ultras travestiti per non destare sospetti).

Superato questo ostacolo, siamo dentro e possiamo andare alla ricerca del posto numerato presente sul biglietto perché la giustizia sportiva deve sempre sapere dove ti trovi per poterti rintracciare. Quest’ultima mossa non è semplicissima perché ci si trova spesso a discutere con Soggetti di tipo A che non comprendono la tua richiesta o con coppiette che si sbaciucchiano proprio sul tuo posto.

Facezie a parte, quel numero di posto assegnato è stato utile alla giustizia sportiva per chiudere il caso “Genny ‘a Carogna” in meno di 72 ore. E’ stato semplice infatti risalire al posto assegnato al noto tifoso napoletano Posto 54S, Fila 14; riesaminare i filmati e rintracciare dunque il vero volto di Genny a’ Carogna, risalire dunque alle vere generalità del losco figuro e procedere all’arresto. Dietro allo pseudonimo di Genny ‘a Carogna si cela tale Mario Giannelli, un incensurato di 64 anni residente a Roma, simpatizzante della Lazio ma “amante del bel calcio” (dichiara lui) che “voleva passare una serata di sport con i nipoti” (la giustificazione che ha destato più di un sospetto). Il sospettato ha ceduto dopo 8 ore di interrogatorio nelle quali ha più volte cercato di difendersi dichiarando di non essere lui “Genny ‘a Carogna”.

“La giustizia sportiva ha fatto il suo corso, siamo soddisfatti dei modi e dei tempi. Il sistema di sicurezza funziona. quando si conosce il posto assegnato ad un individuo, risalirci è immediato. Troppo spesso le immagini delle tv ci traggono in inganno. Io stesso giurerei di aver visto un uomo seduto su un’inferriata con una maglietta nera vergognosa, ma poi, fatti alla mano, posso escluderne la presenza dal momento che non ci risultano posti assegnati su quell’inferriata” così il commento soddisfatto del questore di Roma.






NOTA: RuttoSport è un periodico satirico, pertanto le notizie riportate sono frutto della fantasia degli autori e vanno considerate esclusivamente una lettura ricreativa. RuttoSport non è una testata giornalistica e non aspira a diventarlo. Forza Viola e sempre Juve merda!
La Redazione

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